“Le ciavole delle due rocche” di Vincenzo Ruffino

Leggendo “Le ciavole delle due rocche” dello scrittore siciliano Vincenzo Ruffino si esce dalla mitologia del paese di Corleone e si entra nella storia. Ruffino è siciliano di Corleone e nella sua vita c’è uno spartiacque ineludibile, una contrapposizione alla solitudine come la possono sperimentare solo coloro che, nati con l’orizzonte abbacinante del meridione, devono lasciare il paese per andare a creare la propria esperienza umana e professionale altrove. Vincenzo Ruffino è al suo secondo romanzo, ambientato tra le montagne di Corleone che fanno da sfondo mentale al racconto del viaggio del giovane protagonista alla ricerca del suo futuro, attraverso una varietà inesauribile di tante rotte che segnano la sua attività. Fascinazione per il presente e struggimento per il passato, il libro di Ruffino è quello che i greci antichi definivano nostos, ovvero romanzo del ritorno alla terra natale o all’origine: momento finale in cui l’autore pur riconoscendo la propria autorealizzazione e la propria individuazione, scopre l’autocoscienza di sé che è il vero e proprio tesoro che si conquista con il viaggio. La parola ciàvola, del titolo, è poco nota pur essendo italiana.  Si tratta del nome della razza di cornacchie diffuse nel Meridione d’Italia. Un simbolo su cui costruire: lo stridulo gracchiare di questo animale ha molteplici sfaccettature. Un richiamo a cambiare, a mutare, migrare.

Anche in questo volume di Ruffino il topos del viaggio, di un turbinio di viaggi, mette al centro della narrazione una persona comune che compie necessariamente anche un itinerario interiore, il cui fine o risultato non è solo l’acquisizione di una superiore consapevolezza, ma anche la perdita delle certezze precedentemente possedute. 

Il protagonista della narrazione è Nicola Tagliavia che, giovanissimo, si allontana dal paese natio per inseguire le sue fantasie e realizzare il sogno di conoscere il mondo oltre Corleone. Nicola, lascia il paese natio alla ricerca del suo tesoro. Viaggia per mari, oceani e continenti. Visita paesi da fiaba in un crescendo di emozioni e di conquiste. Si ritrova ad essere un maturo dirigente d’azienda quando si vede attaccato subdolamente da colleghi che mirano alla sua posizione di prestigio. Si sente tradito anche dalla sua azienda, alla quale ha dato tutto e che da lui pretende sempre di più. Neanche in famiglia i conti tornano. Nicola ha fatto del benessere materiale la sua missione di vita: “assicurarle agiatezza, senza nulla dover desiderare”. Si è dedicato anima e corpo al lavoro, privilegiando gli incarichi più remunerativi, non importa quanto lunghe le assenze da casa. Il rapporto con la sua famiglia si incrina. Il suo mondo crolla. Riaffiora il passato con le sue contraddizioni e le sue debolezze. Sente di aver sbagliato tutto, si chiede se la sua vita abbia ancora un senso. Si sente perso quando invece il destino gli offre una nuova opportunità che lo porta alla scoperta del suo vero tesoro. È il mondo nel quale ha vissuto quello che narra Vincenzo Ruffino, miscelando l’incanto dei miraggi e del surreale dei paesi visitati e il contrasto di sentimenti che accomuna chi ha abbandonato paese natio e affetti in cerca di fortuna.

Storia individuale e introspettiva che racchiude presente e memoria, con la consapevolezza di un successo pagato a caro prezzo. L’autore sembra far risaltare la distanza incolmabile tra l’uomo comune contemporaneo, immerso in una vita priva di valore, e l’eroe classico. Come scrisse Andrea Camilleri due sono le categorie di siciliano :«I siciliani di scoglio e i siciliani di mare aperto. Il siciliano di scoglio è quello che riesce ad allontanarsi fino al più vicino scoglio. Il siciliano di mare aperto invece prende il largo e se ne va». È a quest’ultimo tipo che ci riporta Vincenzo Ruffino, con grande perizia e nostalgia.

CarloMarino 

#carlomarinoeuropeannewsagency

https://www.wikipoesia.it/wiki/Vincenzo_Ruffino

Precedente “Il cuore nel mondo - Dodici città per dodici mesi” di Giuseppe Maria Gragnanella Successivo “Dannata Libertà” silloge di Gaetano Iannotta